Andrea Re è una di queste. Vedendolo all’opera sembra che non faccia mai fatica. Che sia stato canottaggio o che sia triathlon, durante una lezione universitaria o un allenamento, Andrea coinvolge, ispira e motiva.

Ho avuto la fortuna di fargli da spalla durante le telecronache per Eurosport delle gare di canottaggio. Passione e controllo andavano di pari passo per essere credibili ed avvincenti per gli spettatori.

Ciao Andrea. Grazie del tuo tempo, visto che sei sempre preso da mille impegni.

Sei professore universitario del Corso di Laurea di Scienze Motorie all’Università degli Studi di Pavia, relatore, atleta ed allenatore di una squadra di triathlon.

Come gestisci il tempo e le energie?

A volte eccedo nell’essere multitasking. Quando mi rendo conto di essere vicino al limite, mi impongo di non aggiungere impegni agli impegni, e rimetto in ordine le priorità: in questo modo non perdo di vista i fondamentali del mio lavoro e riconduco tutto ad un’ efficienza che mi rasserena.

Mentre remavi ti sei prima diplomato I.S.E.F. in Cattolica a Milano e poi ti sei laureato in Scienze Politiche a Pavia.

L’aver fatto sport ad alto livello ti ha aiutato nel successo anche universitario?

L’aver fatto sport ad alto livello, anzi essere riuscito ad affiancare gli studi universitari allo sport di vertice, senza dubbio ha consolidato in me l’attitudine alla tensione all’obiettivo. L’errore che fanno molti sportivi è di trascurare lo studio; le conseguenze di questa scelta possono essere abbastanza negative e possono condizionare le scelte successive alla inevitabile interruzione della carriera agonistica. Se disponi di una laurea le possibilità e gli sbocchi professionali aumentano, così come si possono moltiplicare le gratificazioni extra sportive.

Campione de Mondo nel quattro senza pesi leggeri. Tampere 1995

Rinfrescandoci la memoria, tu sei uno degli atleti italiani più titolati a livello internazionale nel canottaggio. Otto titoli mondiali ed hai preso parte alle Olimpiadi di Atlanta nel 1996 nel quattro senza pesi leggeri alla sua prima partecipazione.

Il tuo percorso è pieno di successi, ma impressa rimane la delusione di Atlanta, in cui non siete arrivati in finale, dove ci arrivavate da Campioni del Mondo in carica.

Ora che sei allenatore, nel senso che non hai solo le competenze per stilare un programma di allenamento, ma, dall’esperienza quotidiana, hai capacità gestionali e di relazioni, a cosa attribuisci quella debacle?

Quando ho smesso di remare ero il quinto atleta più medagliato  ai Campionati del Mondo. Assieme a Fabrizio Ravasi sono sempre riuscito a confermare la mia presenza sull’otto pesi leggeri che ha dominato la scena internazionale ininterrottamente dal 1985 al 1991 (sette ori consecutivi). Poi nel 1996 la prima Olimpiade per i pesi leggeri. Selezione strettissima, solo quattro senza e doppio, quindi molta più concorrenza per riuscire ad essere selezionati. Nel 1995 oro ai mondiali. Una barca favolosa, poi nove mesi di super lavoro, troppo lavoro. Non serve essere allenatori per capire che la preparazione è stata sbagliata: siamo stati vittima del famoso overtraining, provocato da eccessivi carichi di lavoro. Eravamo talmente sovraccarichi  di allenamento, che non siamo mai riusciti a trovare la freschezza ed il passo giusto per esaltare le nostre caratteristiche. In Nazionale si era instaurato un clima pesantissimo che purtroppo ha trasformato il sogno Olimpico in un incubo. Un clima da follia collettiva. Era evidente che qualcosa andava cambiato, ma purtroppo questo non è accaduto, anzi, fino all’ultimo abbiamo caricato oltremisura, senza la minima possibilità di recuperare freschezza in vista delle gare. Un disastro.

Col senno di poi, con l’esperienza attuale, avreste potuto gestire meglio la situazione? Nel rispetto dei ruoli, un atleta può imporsi sugli allenatori?

E’ stato terribile per noi atleti di esperienza non poter dire la nostra e non poter fare qualche passo indietro, ma la direzione tecnica di quel periodo non contemplava questa possibilità. Per un atleta di esperienza non avere voce in capitolo e subire scelte sbagliate è veramente bruttissimo. Anche perché quando le cose non vanno bene, guarda caso, certi allenatori sanno dare solo colpe agli atleti. E così è stato: scaricati e umiliati, come se non fosse bastata l’umiliazione di  non aver potuto esprimere il nostro reale potenziale.

Come ci si riprende da una delusione del genere e come la si gira a proprio favore?

Riprendersi è stato molto difficile. Le strade da prendere erano due. La prima era quella di smettere e di porre fine alla carriera. Ho scelto la seconda. Dopo aver riflettuto a lungo, ho scelto di riprovarci, lavorando sul convincimento che in quattro anni, con impegno dedizione e professionalità, sarei riuscito a mantenere un livello performante di altissima qualità. Mi sono detto: ” sai remare, dimostralo”! E ho proseguito. Poi la sfortuna mi ha cercato e trovato per bene: tre sale operatorie in undici mesi (di cui due con urgenza) hanno posto fine alla mia carriera.

Andrea Re triatleta.

Come il canottaggio e lo sport ti son serviti e ti servono nella quotidianità attuale fatta, come per tutti, da alti e bassi?

Se vogliamo il 1996 e le complicazioni che sono sopraggiunte tra il 1998 e il 1999, possono essere viste come una metafora della vita. Quando fai sport ad alto livello, senza dubbio vivi una realtà molto particolare. La realtà della vita con la sua quotidianità è tutta diversa. Grazie alla mia esperienza sportiva, la mia reazione agli alti e bassi, è la seguente: nelle fasi “down” penso a come lo sport mi abbia fortificato e come io abbia saputo reagire alle difficoltà; di conseguenza, coerentemente a com’ero quando remavo, reagisco e mi rialzo. Nelle fasi “up”, cerco di gustarmi la soddisfazione, senza esaltarmi e senza perdere di vista la strada da percorrere.

Facevi parte del gruppo delle Fiamme Oro mentre remavi e sei uno dei rari casi che non ha proseguito nella carriera militare una volta smesso con l’agonismo.
Come si fa a rendere consapevoli gli atleti che hanno doti fuori dal comune? Le stesse doti, competenze che spieghi durante le conferenze che organizzi o a cui partecipi, in cui parli di leadership, resilienza e perseveranza di cui le aziende sono alla disperata ricerca?

Secondo me gli sportivi di alto livello devono essere guidati e formati ad affrontare il mondo del lavoro durante la loro carriera; a fine carriera può subentrare un senso di svuotamento legato al fatto che per anni “sei stato il primo della classe” ed improvvisamente ti ritrovi in partenza ad una gara tutta diversa, per la quale l’atleta stesso può non essere preparato al meglio. Le doti caratteriali, devono fare il pari con competenze acquisite o da acquisire, per potersi mettere in gioco con la determinazione e la consapevolezza da vero atleta. Insomma le sfide non finiscono con la fine della carriera agonistica, anzi ne possono iniziare delle altre.

Cosa diresti ad un ragazzo che sogna, allo stesso tempo, le Olimpiadi e un futuro lavorativo legato agli studi universitari fatti?

Ai giovani sportivi dico: allenatevi, imparate a dare tutto, a dare il massimo, a porvi grandissimi obiettivi, ma studiate. Lo studio è importante. Mentre ti alleni hai modo di concentrarti su te stesso e sulla tua formazione. Allenarsi e basta è pericoloso e limitante. Soprattutto se la carriera di un’atleta si protrae negli anni, è importante preoccuparsi della propria crescita personale non solo dal punto di vista caratteriale, ma anche in termini di formazione.

Personalmente posso dire che l’attività che sto facendo come consulente, dopo aver creato il mio marchio MULTISPOR3ining, è il risultato di un percorso di formazione e di studi che parte da lontano, e senza il quale non avrei avuto gli strumenti per realizzare quello che sto facendo, con le gratificazioni che sto ottenendo.

Un’ultima domanda. Come vedi questo ritorno al passato con i pesi leggeri esclusi dalle Olimpiadi?

Questa notizia mi da grande tristezza. L’inserimento dei pesi leggeri ha nel tempo dato slancio al movimento del canottaggio mondiale. La loro esclusione dai Giochi Olimpici dal mio punto di vista non produrrà risultati positivi.

Il canottaggio, dopo le Olimpiadi di Tokyo 2020, affronterà inevitabilmente un cambiamento radicale. Da una parte ragioni di gestione delle risorse e la necessità di rendere la disciplina più avvincente e fruibile, dall’altra la tradizione di uno sport tra i più antichi fatto di eleganza e storia. Basterà dire che la verità sta nel mezzo?

di Edoardo Verzotti