Sport, Università e Lavoro – Intervista a Giuseppe Faita

Fate un grande favore a voi stessi, leggete fino alla fine questa intervista, ne vale davvero la pena.

Giuseppe Faita lo ricordo, incazzato, che interrompeva le feste, quando ormai gli occhi da chiudere erano finiti da un pezzo e riportava l’ordine all’interno del Collegio, luogo pur sempre adibito allo studio.

In questa intervista, ma forse perché son cresciuto anche io, e da padre di famiglia, riconosco in Faita la persona saggia che è sempre stata.

Grazie alle sue parole si ha un’analisi accurata del tempo che passa, con i suoi protagonisti con le loro opportunità mutevoli nel tempo, ma con dei riferimenti che, per fortuna, non cambiano mai.

Rettore del Collegio Cardano di Pavia dal 2000.

In quasi vent’anni ha visto crescere migliaia di ragazzi.
Si parla sempre delle nuove generazioni in negativo. Non è ora di smetterla?
In base alla sua esperienza che differenze ci sono tra la generazione Y e Z?
E con la generazione X, la sua ?

I luoghi comuni purtroppo esistono ancora ed è molto facile dare giudizi superficiali e in genere negativi, confondendo le differenze (che ovviamente esistono) con le “negatività”. L’attuale generazione vive in un contesto che, rispetto a quello della mia generazione negli anni ’80, presenta molti vantaggi assieme a forse altrettanti svantaggi, specchio dei mutati tempi. A fronte di un numero di opportunità decisamente maggiore, frutto dell’avanzamento tecnologico degli ultimi vent’anni, ma che hanno insito il rischio di una crescente individualizzazione: oggi è molto facile rimanere in contatto con la famiglia o gli amici lasciati al paese d’origine, ma si rischia di non conoscere il vicino di camera.
E’ un esempio banale, ma da osservatore esterno vedo che l’esperienza universitaria vissuta in collegio è forse uno degli ultimi baluardi a difesa di un’esperienza condivisa con altri coetanei, in cui momenti felici e divertenti si mescolano con quelli più tristi e difficili, talvolta anche conflittuali, ma che consentono a ciascuno di crescere al meglio, conoscendo prima di tutto i propri limiti e, conseguentemente, nel cercare di superarli, magari con l’aiuto di un amico.
La mia generazione è cresciuta senza internet, con “solo” tre canali RAI, con i telefoni a gettone e con pochi soldi, affinando, di conseguenza, una certa abilità nel sapersi divertire con poco o nulla. Oggi è tutto profondamente cambiato, se una volta andare a Genova era già una mezza avventura, oggi è quasi normale trascorrere un fine settimana a Londra o a Praga, spendendo peraltro meno di quanto si spendesse ai miei tempi di studente. Oggi i giovani sono veramente bombardati da tantissime possibilità e offerte (pensate solo al numero dei corsi di laurea): risulta oggi quindi fondamentale l’avere a disposizione gli adeguati filtri affinchè non ci si perda dietro a mere apparenze, perdendo di vista gli aspetti e le questioni più sostanziali.
Dovendo quindi sintetizzare, la principale differenza è l’accresciuta rapidità dei cambiamenti (o se volete la volatilità dei vari contesti) che rischiano di asfissiare la vita dei giovani d’oggi, riempiendoli di certezze che durano sempre meno con il risultato finale che l’incertezza la fa sempre più da padrona. Vivere in questo contesto non è per niente facile e le generazioni attuali, o almeno molti dei giovani di oggi, sono per certi punti di vista molto più bravi di quanto non fossi io ai loro tempi. In fondo io sono cresciuto in un mondo decisamente più semplice e più facile.

Lei è docente universitario di Chimica Organica.
Come è cambiato il suo approccio con gli studenti negli anni?

Sono ormai quasi trent’anni che insegno Chimica Organica e l’esperienza acquisita non può che avermi aiutato a migliorarmi nel tempo, anche se i migliori giudici non possono che essere gli studenti stessi. Mi sono sempre considerato molto fortunato perché ho fatto un lavoro bellissimo, che mi ha lasciato notevoli livelli di libertà, in cui sono forse rimasto un po’ giovane stando in mezzo ai giovani (da questo punto di vista anche il mio vivere in collegio ha ben collaborato nello sviluppo di una certa empatia con le generazioni di giovani che si sono succedute). La consapevolezza di questa fortuna per me è essenziale per fare sempre al meglio il proprio “mestiere”, per mettersi in discussione e per non dare mai nulla per acquisito. Certo la maturità aiuta, fa migliorare un po’ di autoironia, fa affinare le tecniche di comunicazione, anche se, lo ammetto, non utilizzo i moderni sussidi tecnologici preferendo sempre l’uso del gesso (anzi dei gessi colorati) e della lavagna. Forse questo è il mio principale limite, oppure no: lascio agli studenti giudizio e valutazione.

Il collegio Cardano ha una convenzione con la Federazione Italiana di Canottaggio che permette di abbinare Università e allenamenti nel migliore dei modi.
È ancora un modello vincente secondo lei?
Come si può migliorare dal punto di vista Universitario?

L’esperienza avviata ormai quasi 40 anni fa è sempre valida e non a caso è stata “copiata” dalla FICK (Federazione Italiana Canoa Kayak) che dal 2012 ha siglato analoga convenzione: attualmente il Collegio Cardano (College del Remo e della Pagaia) ospita 30 atleti e atlete, 10 della FICK, 10 della FIC e 10 canottieri del CUS Pavia.
Il modello è sicuramente ancora vincente, anche se il giudizio positivo non dipende tanto, o solo, dai risultati sportivi, sempre importanti, ma per me non fondamentali. La possibilità di allenarsi e studiare nello stesso ambiente consente di ottimizzare l’uso del proprio tempo, soprattutto oggi che i carichi di lavoro, sia degli allenamenti, sia dello studio universitario, sono decisamente aumentati.
Nel complesso i problemi di compatibilità tra studio e allenamento sono quasi sempre contenuti o facilmente risolvibili: anche l’Università si è resa conto dell’importanza dei nostri studenti-atleti, soprattutto quando può fregiarsi delle vittorie in qualche campionato, e in questi ultimi anni si è quindi resa più disponibile e più elastica nel rendere compatibile, ad esempio, appelli d’esame e stage federali.

Riuscire a laurearsi essendo un atleta di alto livello che punta alle medaglie Olimpiche non è certo una passeggiata.
Che idea si è fatto dell’atleta di alto livello che ha due obiettivi ben distinti?

Lo studente-atleta (anche se non di livello altissimo) è un po’ come fare due lavori: estremamente impegnativo e veramente time-consuming. Due allenamenti al giorno, tutti i giorni, inframezzati dalla frequenza alla lezioni e da un po’ di studio, lasciano veramente poco tempo libero, talmente poco da dover essere usato al meglio. Quando incontro i nuovi alunni-atleti del Collegio gli raccomando di riservarsi un minimo di tempo per condividere il loro percorso anche con gli alunni del Collegio, in modo che l’esperienza sia la più completa possibile, anche dal punto di vista umano. Questo è importante soprattutto per meglio metabolizzare i momenti difficili, soprattutto a livello sportivo, quando una mancata convocazione piuttosto che una mancata finale o, peggio ancora, una mancata medaglia possono fare nascere dubbi e incertezze.
Non sono certo dei super-uomini, anzi, ma inevitabilmente devono fare uno sforzo doppio per raggiungere entrambi gli obiettivi che si sono proposti. Non è solo una questione atletica (ovviamente è importante, ma non sufficiente), ma anche una questione di testa, di capacità di concentrazione, di saper dosare in modo sapiente le energie fisiche e soprattutto quelle mentali. Risultati top sia dal punto di vista sportivo (oro Olimpico) che da quello universitario (laurea in corso con 110 e lode) sono stati realizzati pochissime volte, ma devo dire che moltissimi hanno raggiunto la loro laurea in tempi ragionevoli, accedendo a gratificanti professioni, e ottenendo risultati sportivi di assoluto rilievo.
Quello che raccomando sempre ai miei studenti-atleti è che, prima o poi, il canottaggio agonistico finisce (non per tutti visti i recenti brillantissimi risultati dei “nonnetti” cardani nei campionati mondiali “master”), ma la fine continua e un buon titolo di studio può essere molto importante per raggiungere altri importanti risultati.

Da Piero Poli a Maurizio Losi, da Luca Ghezzi a Nicolò Mornati, Nicola Sartori, Stefano Basalini e Daniele Gilardoni. Sono solo alcuni dei canottieri che sono passati dal Cardano.

Piero Poli (ultimo a dx) Campione Olimpico Seul 1988

Ci può raccontare degli episodi che riguarda gli atleti di alto livello che ha conosciuto?

Di episodi ce ne sono tanti, molti dei quali li potrei raccontare solo dopo aver ricevuto una liberatoria in forma scritta del diretto interessato….
Un episodio a cui sono molto legato riguarda Piero Poli, mio compagno d’anno: fine settembre del 1988, Piero è a Seul con il quattro di coppia, ma tutto il collegio tira le quattro di mattina, tra spaghettate e partite a carta in attesa della finale. In trenta stipati in saletta TV (non più di 15 mq), coltre nebbioso che lascia intravedere un vecchio televisore, l’immancabile telecronaca di Giampiero Galeazzi, e quegli stupendi 2.000 metri al termine dei quali il “nostro“ Piero vinceva la medaglia d’oro!!! Indimenticabile. Non che noi avessimo fatto qualcosa di particolare, noi che il remo lo avevamo visto solo da lontano, ma era come sentirci un pochino partecipi della gioia del “nostro” Piero, quasi che anche noi fossimo stati su quella barca…
Un altro aneddoto è la confessione di Luca (primario anestesista) e Panta (illustre cardiologo), entrambi non vogatori, a Ravasi (campione del mondo dell’otto pesi leggeri), dopo oltre trent’anni per spiegargli come mai a “ciapano” perdeva sempre lui, pagando di conseguenza panino e birra agli altri due. Non si può descrivere a parole, bisogna vedere il filmatino fatto alla festa degli ex del 2018, e che è già una risposta alla prossima domanda.

Da alcuni anni avete dato vita all’associazione ex alunni del collegio Cardano.
Ad ogni edizione partecipano fino a 150 persone che arrivano da tutta Italia per poter essere presenti a questa magnifica reunion.
Una grande senso di appartenenza ed un forte legame verso quella che, per molti di loro, era casa durante gli studi.

Sì, un bellissimo risultato, una chiara dimostrazione di come l’esperienza collegiale sia unica e irripetibile, che fa considerare il collegio come una famiglia. I rapporti umani e di amicizia che si costruiscono durante quel periodo unico e irripetibile che è quello dei vent’anni durano e si consolidano negli anni, anzi nei decenni. Abbiamo avuto i cosiddetti “antenati”, i primi che entrarono nel collegio appena aperto nel 1974 e tantissime generazioni successive, addirittura ormai i figli di quelle generazioni sono nuovi alunni del collegio: uno dei pochi rimpianti che ho è forse quello che non riuscirò a vedere la generazione dei nipoti…
Il legame che si crea è veramente forte; i ricordi che ognuno si porta dentro sono un piccolo tesoro che nessuno potrai mai portarci via, in fondo un modo per mantenersi giovani, senza ovviamente diventare ridicoli.
Nel corso dell’ultimo raduno abbiamo preparato un grande cartellone, circa sei metri per due, che raccoglieva tutte le foto di gruppo disponibili: dal 1985 al 2019, venticinque gruppi di alunni in cui padri e figli, superando la barriera del tempo, si vedono e si incontrano come normali studenti. Bellissimo!

Il senso di appartenenza è un valore importantissimo nello sport e nelle aziende.
Come siete riusciti a farlo emergere? Quale il vostro segreto?

Non è stato difficile, anzi è quasi il risultato naturale di una bella esperienza condivisa.
Nessun particolare segreto quindi, se non quello di dare il giusto peso alle cose semplici della quotidianità, la consapevolezza che l’esperienza collegiale, indissolubilmente legata a quella universitaria, ha rappresentato un punto di svolta nello sviluppo della carriera futura e, in molti casi, della famiglia futura.
Il prossimo anno il raduno degli ex porrà al centro dell’attenzione le “coppie cardane” in cui il collegio ha rappresentato la prima casa di una futura e nuova famiglia. Come anche tu Edoardo ben sai, le coppie di alunni e alunne del collegio sono veramente tante: l’ultimo “censimento” me ne ha fatte contare quasi trenta e il prossimo raduno vorrà essere la loro festa (e quindi ti aspettiamo assieme a Francesca).

Cosa le hanno insegnato i ragazzi in tutti questi anni? Cosa si tiene stretto e cosa utilizza come esempio e modello?

Mi hanno insegnato molto, veramente. I ricordi me li tengo ben stretti e in genere non uso particolari modelli, proprio perché le esperienze umane sono singole e irripetibili. Forse l’unica regola è proprio questa; affrontare ogni nuova esperienza, ogni nuovo rapporto come se fosse il primo, senza schemi precostituiti o stereotipi già acquisiti. Ogni alunno e alunna del collegio sono un patrimonio e un’esperienza che non ha un codice o un numero di classificazione, ma un nome e un cognome (talvolta un soprannome), un viso e una storia.

In un’epoca di continui e repentini cambiamenti in tutti i settori, che consiglio si sente di dare alle nuove generazioni che con il loro sfacciato entusiasmo si affacciano al mondo dei grandi?

Primo consiglio: siate sempre voi stessi. Non cambiate mai il vostro modo di pensare o i vostri costumi per accontentare qualcuno.
Secondo consiglio: imparate a conoscervi e sfruttate tutte le opportunità che la vita (collegiale) vi offre affinchè la vostra crescita sia la più completa possibile.
Terzo consiglio: ogni tanto fermatevi a riflettere su dove state andando e rallentate i ritmi eccessivamente frenetici che vi vanno gustare poco e male le cose belle della vita.
Ultimo consiglio: se siete più forti degli altri, dovete essere più responsabili e aiutare quanti sono in difficoltà. Si parte in tanti e tutti dobbiamo arrivare alla meta finale, qualcuno prima, qualcuno dopo, ma tutti devono giungere, magari con l’aiuto dei più “dotati”: siamo una famiglia e dobbiamo restare una famiglia, i valori veri non cambiano, attraversano indenni lo spazio e il tempo nonostante la crescente volatilità del nostro mondo.

Grazie Rettore, un vero collante di infinite, ormai, generazioni e portatore sano di sacrosante verità, grazie alla non scontata capacità di osservare i “suoi” ragazzi.

di Edoardo Verzotti

Fate un grande favore a voi stessi, leggete fino alla fine questa intervista, ne vale davvero la pena.

Giuseppe Faita lo ricordo, incazzato, che interrompeva le feste, quando ormai gli occhi da chiudere erano finiti da un pezzo e riportava l’ordine all’interno del Collegio, luogo pur sempre adibito allo studio.

In questa intervista, ma forse perché son cresciuto anche io, e da padre di famiglia, riconosco in Faita la persona saggia che è sempre stata.

Grazie alle sue parole si ha un’analisi accurata del tempo che passa, con i suoi protagonisti con le loro opportunità mutevoli nel tempo, ma con dei riferimenti che, per fortuna, non cambiano mai.

Rettore del Collegio Cardano di Pavia dal 2000.

In quasi vent’anni ha visto crescere migliaia di ragazzi.
Si parla sempre delle nuove generazioni in negativo. Non è ora di smetterla?
In base alla sua esperienza che differenze ci sono tra la generazione Y e Z?
E con la generazione X, la sua ?

I luoghi comuni purtroppo esistono ancora ed è molto facile dare giudizi superficiali e in genere negativi, confondendo le differenze (che ovviamente esistono) con le “negatività”. L’attuale generazione vive in un contesto che, rispetto a quello della mia generazione negli anni ’80, presenta molti vantaggi assieme a forse altrettanti svantaggi, specchio dei mutati tempi. A fronte di un numero di opportunità decisamente maggiore, frutto dell’avanzamento tecnologico degli ultimi vent’anni, ma che hanno insito il rischio di una crescente individualizzazione: oggi è molto facile rimanere in contatto con la famiglia o gli amici lasciati al paese d’origine, ma si rischia di non conoscere il vicino di camera.
E’ un esempio banale, ma da osservatore esterno vedo che l’esperienza universitaria vissuta in collegio è forse uno degli ultimi baluardi a difesa di un’esperienza condivisa con altri coetanei, in cui momenti felici e divertenti si mescolano con quelli più tristi e difficili, talvolta anche conflittuali, ma che consentono a ciascuno di crescere al meglio, conoscendo prima di tutto i propri limiti e, conseguentemente, nel cercare di superarli, magari con l’aiuto di un amico.
La mia generazione è cresciuta senza internet, con “solo” tre canali RAI, con i telefoni a gettone e con pochi soldi, affinando, di conseguenza, una certa abilità nel sapersi divertire con poco o nulla. Oggi è tutto profondamente cambiato, se una volta andare a Genova era già una mezza avventura, oggi è quasi normale trascorrere un fine settimana a Londra o a Praga, spendendo peraltro meno di quanto si spendesse ai miei tempi di studente. Oggi i giovani sono veramente bombardati da tantissime possibilità e offerte (pensate solo al numero dei corsi di laurea): risulta oggi quindi fondamentale l’avere a disposizione gli adeguati filtri affinchè non ci si perda dietro a mere apparenze, perdendo di vista gli aspetti e le questioni più sostanziali.
Dovendo quindi sintetizzare, la principale differenza è l’accresciuta rapidità dei cambiamenti (o se volete la volatilità dei vari contesti) che rischiano di asfissiare la vita dei giovani d’oggi, riempiendoli di certezze che durano sempre meno con il risultato finale che l’incertezza la fa sempre più da padrona. Vivere in questo contesto non è per niente facile e le generazioni attuali, o almeno molti dei giovani di oggi, sono per certi punti di vista molto più bravi di quanto non fossi io ai loro tempi. In fondo io sono cresciuto in un mondo decisamente più semplice e più facile.

Lei è docente universitario di Chimica Organica.
Come è cambiato il suo approccio con gli studenti negli anni?

Sono ormai quasi trent’anni che insegno Chimica Organica e l’esperienza acquisita non può che avermi aiutato a migliorarmi nel tempo, anche se i migliori giudici non possono che essere gli studenti stessi. Mi sono sempre considerato molto fortunato perché ho fatto un lavoro bellissimo, che mi ha lasciato notevoli livelli di libertà, in cui sono forse rimasto un po’ giovane stando in mezzo ai giovani (da questo punto di vista anche il mio vivere in collegio ha ben collaborato nello sviluppo di una certa empatia con le generazioni di giovani che si sono succedute). La consapevolezza di questa fortuna per me è essenziale per fare sempre al meglio il proprio “mestiere”, per mettersi in discussione e per non dare mai nulla per acquisito. Certo la maturità aiuta, fa migliorare un po’ di autoironia, fa affinare le tecniche di comunicazione, anche se, lo ammetto, non utilizzo i moderni sussidi tecnologici preferendo sempre l’uso del gesso (anzi dei gessi colorati) e della lavagna. Forse questo è il mio principale limite, oppure no: lascio agli studenti giudizio e valutazione.

Il collegio Cardano ha una convenzione con la Federazione Italiana di Canottaggio che permette di abbinare Università e allenamenti nel migliore dei modi.
È ancora un modello vincente secondo lei?
Come si può migliorare dal punto di vista Universitario?

L’esperienza avviata ormai quasi 40 anni fa è sempre valida e non a caso è stata “copiata” dalla FICK (Federazione Italiana Canoa Kayak) che dal 2012 ha siglato analoga convenzione: attualmente il Collegio Cardano (College del Remo e della Pagaia) ospita 30 atleti e atlete, 10 della FICK, 10 della FIC e 10 canottieri del CUS Pavia.
Il modello è sicuramente ancora vincente, anche se il giudizio positivo non dipende tanto, o solo, dai risultati sportivi, sempre importanti, ma per me non fondamentali. La possibilità di allenarsi e studiare nello stesso ambiente consente di ottimizzare l’uso del proprio tempo, soprattutto oggi che i carichi di lavoro, sia degli allenamenti, sia dello studio universitario, sono decisamente aumentati.
Nel complesso i problemi di compatibilità tra studio e allenamento sono quasi sempre contenuti o facilmente risolvibili: anche l’Università si è resa conto dell’importanza dei nostri studenti-atleti, soprattutto quando può fregiarsi delle vittorie in qualche campionato, e in questi ultimi anni si è quindi resa più disponibile e più elastica nel rendere compatibile, ad esempio, appelli d’esame e stage federali.

Riuscire a laurearsi essendo un atleta di alto livello che punta alle medaglie Olimpiche non è certo una passeggiata.
Che idea si è fatto dell’atleta di alto livello che ha due obiettivi ben distinti?

Lo studente-atleta (anche se non di livello altissimo) è un po’ come fare due lavori: estremamente impegnativo e veramente time-consuming. Due allenamenti al giorno, tutti i giorni, inframezzati dalla frequenza alla lezioni e da un po’ di studio, lasciano veramente poco tempo libero, talmente poco da dover essere usato al meglio. Quando incontro i nuovi alunni-atleti del Collegio gli raccomando di riservarsi un minimo di tempo per condividere il loro percorso anche con gli alunni del Collegio, in modo che l’esperienza sia la più completa possibile, anche dal punto di vista umano. Questo è importante soprattutto per meglio metabolizzare i momenti difficili, soprattutto a livello sportivo, quando una mancata convocazione piuttosto che una mancata finale o, peggio ancora, una mancata medaglia possono fare nascere dubbi e incertezze.
Non sono certo dei super-uomini, anzi, ma inevitabilmente devono fare uno sforzo doppio per raggiungere entrambi gli obiettivi che si sono proposti. Non è solo una questione atletica (ovviamente è importante, ma non sufficiente), ma anche una questione di testa, di capacità di concentrazione, di saper dosare in modo sapiente le energie fisiche e soprattutto quelle mentali. Risultati top sia dal punto di vista sportivo (oro Olimpico) che da quello universitario (laurea in corso con 110 e lode) sono stati realizzati pochissime volte, ma devo dire che moltissimi hanno raggiunto la loro laurea in tempi ragionevoli, accedendo a gratificanti professioni, e ottenendo risultati sportivi di assoluto rilievo.
Quello che raccomando sempre ai miei studenti-atleti è che, prima o poi, il canottaggio agonistico finisce (non per tutti visti i recenti brillantissimi risultati dei “nonnetti” cardani nei campionati mondiali “master”), ma la fine continua e un buon titolo di studio può essere molto importante per raggiungere altri importanti risultati.

Da Piero Poli a Maurizio Losi, da Luca Ghezzi a Nicolò Mornati, Nicola Sartori, Stefano Basalini e Daniele Gilardoni. Sono solo alcuni dei canottieri che sono passati dal Cardano.

Piero Poli (ultimo a dx) Campione Olimpico Seul 1988

Ci può raccontare degli episodi che riguarda gli atleti di alto livello che ha conosciuto?

Di episodi ce ne sono tanti, molti dei quali li potrei raccontare solo dopo aver ricevuto una liberatoria in forma scritta del diretto interessato….
Un episodio a cui sono molto legato riguarda Piero Poli, mio compagno d’anno: fine settembre del 1988, Piero è a Seul con il quattro di coppia, ma tutto il collegio tira le quattro di mattina, tra spaghettate e partite a carta in attesa della finale. In trenta stipati in saletta TV (non più di 15 mq), coltre nebbioso che lascia intravedere un vecchio televisore, l’immancabile telecronaca di Giampiero Galeazzi, e quegli stupendi 2.000 metri al termine dei quali il “nostro“ Piero vinceva la medaglia d’oro!!! Indimenticabile. Non che noi avessimo fatto qualcosa di particolare, noi che il remo lo avevamo visto solo da lontano, ma era come sentirci un pochino partecipi della gioia del “nostro” Piero, quasi che anche noi fossimo stati su quella barca…
Un altro aneddoto è la confessione di Luca (primario anestesista) e Panta (illustre cardiologo), entrambi non vogatori, a Ravasi (campione del mondo dell’otto pesi leggeri), dopo oltre trent’anni per spiegargli come mai a “ciapano” perdeva sempre lui, pagando di conseguenza panino e birra agli altri due. Non si può descrivere a parole, bisogna vedere il filmatino fatto alla festa degli ex del 2018, e che è già una risposta alla prossima domanda.

Da alcuni anni avete dato vita all’associazione ex alunni del collegio Cardano.
Ad ogni edizione partecipano fino a 150 persone che arrivano da tutta Italia per poter essere presenti a questa magnifica reunion.
Una grande senso di appartenenza ed un forte legame verso quella che, per molti di loro, era casa durante gli studi.

Sì, un bellissimo risultato, una chiara dimostrazione di come l’esperienza collegiale sia unica e irripetibile, che fa considerare il collegio come una famiglia. I rapporti umani e di amicizia che si costruiscono durante quel periodo unico e irripetibile che è quello dei vent’anni durano e si consolidano negli anni, anzi nei decenni. Abbiamo avuto i cosiddetti “antenati”, i primi che entrarono nel collegio appena aperto nel 1974 e tantissime generazioni successive, addirittura ormai i figli di quelle generazioni sono nuovi alunni del collegio: uno dei pochi rimpianti che ho è forse quello che non riuscirò a vedere la generazione dei nipoti…
Il legame che si crea è veramente forte; i ricordi che ognuno si porta dentro sono un piccolo tesoro che nessuno potrai mai portarci via, in fondo un modo per mantenersi giovani, senza ovviamente diventare ridicoli.
Nel corso dell’ultimo raduno abbiamo preparato un grande cartellone, circa sei metri per due, che raccoglieva tutte le foto di gruppo disponibili: dal 1985 al 2019, venticinque gruppi di alunni in cui padri e figli, superando la barriera del tempo, si vedono e si incontrano come normali studenti. Bellissimo!

Il senso di appartenenza è un valore importantissimo nello sport e nelle aziende.
Come siete riusciti a farlo emergere? Quale il vostro segreto?

Non è stato difficile, anzi è quasi il risultato naturale di una bella esperienza condivisa.
Nessun particolare segreto quindi, se non quello di dare il giusto peso alle cose semplici della quotidianità, la consapevolezza che l’esperienza collegiale, indissolubilmente legata a quella universitaria, ha rappresentato un punto di svolta nello sviluppo della carriera futura e, in molti casi, della famiglia futura.
Il prossimo anno il raduno degli ex porrà al centro dell’attenzione le “coppie cardane” in cui il collegio ha rappresentato la prima casa di una futura e nuova famiglia. Come anche tu Edoardo ben sai, le coppie di alunni e alunne del collegio sono veramente tante: l’ultimo “censimento” me ne ha fatte contare quasi trenta e il prossimo raduno vorrà essere la loro festa (e quindi ti aspettiamo assieme a Francesca).

Cosa le hanno insegnato i ragazzi in tutti questi anni? Cosa si tiene stretto e cosa utilizza come esempio e modello?

Mi hanno insegnato molto, veramente. I ricordi me li tengo ben stretti e in genere non uso particolari modelli, proprio perché le esperienze umane sono singole e irripetibili. Forse l’unica regola è proprio questa; affrontare ogni nuova esperienza, ogni nuovo rapporto come se fosse il primo, senza schemi precostituiti o stereotipi già acquisiti. Ogni alunno e alunna del collegio sono un patrimonio e un’esperienza che non ha un codice o un numero di classificazione, ma un nome e un cognome (talvolta un soprannome), un viso e una storia.

In un’epoca di continui e repentini cambiamenti in tutti i settori, che consiglio si sente di dare alle nuove generazioni che con il loro sfacciato entusiasmo si affacciano al mondo dei grandi?

Primo consiglio: siate sempre voi stessi. Non cambiate mai il vostro modo di pensare o i vostri costumi per accontentare qualcuno.
Secondo consiglio: imparate a conoscervi e sfruttate tutte le opportunità che la vita (collegiale) vi offre affinchè la vostra crescita sia la più completa possibile.
Terzo consiglio: ogni tanto fermatevi a riflettere su dove state andando e rallentate i ritmi eccessivamente frenetici che vi vanno gustare poco e male le cose belle della vita.
Ultimo consiglio: se siete più forti degli altri, dovete essere più responsabili e aiutare quanti sono in difficoltà. Si parte in tanti e tutti dobbiamo arrivare alla meta finale, qualcuno prima, qualcuno dopo, ma tutti devono giungere, magari con l’aiuto dei più “dotati”: siamo una famiglia e dobbiamo restare una famiglia, i valori veri non cambiano, attraversano indenni lo spazio e il tempo nonostante la crescente volatilità del nostro mondo.

Grazie Rettore, un vero collante di infinite, ormai, generazioni e portatore sano di sacrosante verità, grazie alla non scontata capacità di osservare i “suoi” ragazzi.

di Edoardo Verzotti

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